L’ex difensore ha giocato anche in Grecia, Spagna e India: le difficoltà dopo aver appeso le scarpette al chiodo e la rinascita come talent scout
Era il 1 febbraio del 2004 quando dopo un Inter-Siena finita 4-0 per i nerazzurri, il post-partita si prese la scena: davanti alle telecamere delle tv in diretta si presentò Bruno Cirillo, difensore del Siena, che si fece fare un primo piano sul labbro spaccato e sanguinante, accusando Materazzi: “Lui era a bordo campo perché squalificato, io marcavo Kily Gonzales. Diceva all’argentino di puntarmi perché ero scarso ed ero in difficoltà. Un comportamento antisportivo del quale gli chiesi conto a fine partita. Lui mi stava aspettando nel tunnel e, mentre avevo le mani nelle tasche del giubbino, mi sferrò un pugno in pieno volto. Mi ha rotto il labbro, anche perché aveva 4-5 anelli”. Questo episodio ha marchiato per sempre la vita e la carriera del difensore stabiese che però nella sua storia professionale ha fatto tanto altro fino a cambiare vita dopo aver smesso di giocare.
La lite con Materazzi
Con Matrix poi si chiarì: “Tempo dopo abbiamo fatto pace, lo incrociai anche in India quando andai a giocare col Pune. Anche se dispiace che oggi mi riconoscano associandomi a quel momento perché io sono stato tanto altro. Non certo un fenomeno, ma comunque un protagonista. Credo di aver fatto un bellissimo percorso e ne vado orgoglioso”.
La carriera di Cirillo
E Cirillo ha ragione. Cresciuto nella Reggina il difensore debuttò in A contro la Juventus di Del Piero e Zidane e segnò il primo gol in trasferta alla Roma di Capello. Dalla Calabria all’Inter. “Mi volle Lippi – ricordò Cirillo – Quella lì era una squadra gigantesca. Laurent Blanc, ogni giorno, a fine allenamento, mi chiamava per fare tecnica. Provavamo a prendere le traverse, il vincitore avrebbe poi pagato il caffè all’altro. E poi c’era Ronaldo, il Fenomeno, che quando ti puntava era ingiocabile. Uno spettacolo. Un giorno gli dissi: Ronie, facciamo una foto al volo? Mi guardò e rispose: perché me la chiedi? Era tutta lì, l’umiltà di uno dei migliori della storia”.
Il giro del mondo di Cirillo
Dall’Inter al Lecce, poi ancora Reggina, Lecce, Siena e infine l’estero. Tappa fondamentale in Grecia: dall’AEK – per giocare la Champions nel girone del Milan – al PAOK di Salonicco. In mezzo anche la Spagna con il Levante e la Francia col Metz. Per non farsi mancare nulla anche in India nel Pune City di Trezeguet. Una volta lasciato il calcio giocato i primi dubbi: “Presi il patentino base ma capii presto di non poter fare l’allenatore. Un allenatore top deve saper gestire venticinque persone e non è facile. Al di là dei moduli devi farti voler bene, avere rispetto per tutti, far capire che bisogna dare l’anima”.
La seconda vita di Cirillo
Allenare no, dunque, ma scovare talenti sì: “Negli ultimi tre anni della mia carriera da calciatore – spiegò al Foglio l’ex difensore di Castellammare di Stabia – avevo inconsciamente iniziato a fare scouting in campo. Quando smisi, nel 2015, il presidente Foti mi propose di rimanere a Reggio e lì trovai un certo Di Lorenzo: mi bastarono venti giorni per capire che quel ragazzo sarebbe arrivato in Nazionale. Aveva 22 anni e, anche per come si allenava, era già un fenomeno. Oggi ci vediamo spesso, siamo rimasti amici. Non so quante maglie gli avrò chiesto in questi anni, merita di essere Campione d’Italia”.
Prima del successo come talent scout, però, un black out improvviso: “Un periodo molto buio, di panico e depressione – rivelò sempre al Foglio Cirillo – Il distacco dal campo fu traumatico, soffrii per circa due anni. Per lasciarti tutto alle spalle serve una grande forza interiore e per fortuna oggi sto meglio, ma non è stato semplice. Le persone fanno fatica a capirti perché se non ne hai mai sofferto, non puoi essere realmente d’aiuto. Io ero diventato totalmente un altro e perciò mi feci aiutare da alcuni professionisti. La differenza però, alla fine, sei sempre tu a farla.
Cirillo e la lotta alla depressione
“Mi scriveva un sacco di gente che provava le stesse cose (basti pensare a Morata ndr) e io, nel mio piccolo, ho cercato di sostenerla. Raccontare la mia storia ad altri che come me stavano soffrendo è stato come segnare ai Mondiali. Per questo vorrei essere un valore aggiunto anche psicologicamente per tutti i calciatori con i quali mi relaziono. Con alcuni esiste un rapporto di fiducia che, qualche volta, diventa fraterno. Qualcosa di straordinario in un contesto nel quale nessuno aiuta più nessuno”. Tutto superato, oggi Cirillo – dopo aver lavorato con Federico Pastorello e poi con Vincenzo Pisacane, lavora con la sua GEV Sport & Management. Un’agency che muove pedine in tutto il mondo attraverso una decina di agenti, legali e scout. Circa 70 assistiti, tra i quali Lorenzo Insigne, Armando Izzo e Danilo D’Ambrosio.