Il CEO di Emirates, Dalton, è sembrato possibilista all’idea di riportare la competizione ad Auckland. Servono 120 milioni di euro (anche dai privati)
Jeddah e l’Europa potrebbero doversene fare una ragione: l’America’s Cup 2027 (questa la data scelta, salvo ribaltoni) potrebbe tornare nel Golfo di Hauraki, per espressa volontà di Emirates Team New Zealand, oltre che dell’amministrazione locale di Auckland che a quanto pare ha vinto tutte le resistenze delle altre realtà politiche della zona. Grant Dalton, CEO del sindacato neozelandese, ha aperto per la prima volta con convinzione all’ipotesi di tornare dall’altra parte del mondo, dove l’ultima edizione s’è tenuta nel 2021 prima di decidere di spostare le regate del trofeo più antico al mondo in territorio europeo, così da massimizzare profitti e vendite dei diritti televisivi.
L’apertura di Dalton (ma con tanti paletti)
La questione della sede della prossima America’s Cup sta tenendo banco da tempo in Nuova Zelanda, dove i più “puristi” non hanno nascosto il loro disappunto per non aver potuto assistere dal vivo alle gesta di Taihoro, dominante come sempre lo è stata nel corso della campagna catalana che le è valsa la conferma della coppa. Alle rimostranze (per lo più legate a fattori economici) del governo locale, s’è contrapposta la voglia dei cittadini della capitale di rivedere le barche sfidarsi nel Golfo di Hauraki, anche se lo stesso Dalton in più di un’occasione aveva ribadito la difficoltà nel riuscire a far quadrare i conti per l’allestimento di tutta la macchina organizzativa.
Ora però è arrivata un’apertura che potrebbe sparigliare le carte. “Il messaggio che deve passare è semplice: siamo assolutamente sinceri nell’affermare che da parte nostra, qualora ci fosse l’opportunità di tornare a gareggiare a casa nostra, lo faremmo senza indugiare oltre. La chiave per far si che ciò accada è la seguente: intanto essere in grado di vincere in sfida, tanto in acqua con la nostra imbarcazione, quanto soprattutto fuori a livello di organizzazione. E la squadra sarà sempre il motore principale di tutto. Mi viene in mente di prendere in prestito una frase detta da Kennedy: abbiamo scelto di andare sulla luna non perché fosse facile, ma perché sapevamo quanto fosse difficile”.
La questione dei “contributi” e il pericolo di “ingerenze”
Dalton parla con la consapevolezza che senza i conti in perfetto ordine, per lui gareggiare di nuovo in Europa (Valencia sembrava la prima opzione, ma adesso dopo il passaggio di Dana è tutto da vedere) o spostarsi a Jeddah, già teatro di alcune regate preliminari dell’ultima edizione dell’America’s Cup, non farebbe poi così tanta differenza.
In Nuova Zelanda il dibattito è destinato ad animarsi ancora: il governo locale resta fortemente scettico sull’ipotesi di investire tanti soldi su un singolo evento, col rischio di avere ritorni esigui. Dalton ha ribadito dal canto suo che non accetterebbe eventuali “dirottamenti” di fondi destinati ad altri ambiti come sanità, welfare, istruzione o trasporti pur di consentire alla competizione di tornare ad Auckland. Al più ha fatto sapere che “se i contributi già stanziati per la promozione turistica e per la ricerca fossero sufficienti, allora potremmo metterci seduti e discuterne nel dettaglio”.
La cifra che serve per riportare la “vecchia brocca” in territorio neozelandese è di almeno 120 milioni di euro, quanto speso da Barcellona nell’ultima edizione. Potrebbero aiutare alcuni privati, ma per dirla alla Dalton, “senza che cerchino di impossessarsi del nostro team, ma solo per sostenere l’evento”. Insomma, tra il dire e il fare di mezzo c’è ancora il mare. O forse l’oceano, viste le circostanze.
Chi ci sarà: Luna Rossa vuole la rivincita
Alla 38esima edizione dell’America’sCup, oltre chiaramente ai detentori di Emirates, parteciperanno sicuramente i britannici di Ineos (Challenge of Record), così come Luna Rossa, American Magic, Alinghi, Orient Express e gli svedesi di Artemis, mentre è ancora in dubbio la presenza di un equipaggio spagnolo.