Alcuni degli eroi dell’Inghilterra che nel 2003 hanno conquistato la Coppa del Mondo di rugby stanno vivendo momenti infelici. Due dei protagonisti di quella finale, passata alla storia contro l’Australia, si sono raccontati rivelando problemi di natura molto diversa, ma ugualmente drammatici.
Steve Thompson, 46 anni, è stato il protagonista di un documentario dedicato proprio al trionfo del 2003 chiamato ‘Unbreakable: England 2003’, prodotto da TNT Sport, e ha rilasciato un’intervista al suo ex compagno di squadra Phil Vickery.
Thompson ha così rivelato di soffrire di una forma precoce di demenza, malattia che colpisce molti rugbisti al termine della carriera a causa dei tanti colpi subiti alla testa. Le condizioni dell’ex tallonatore, che una volta smesso con la palla ovale ha avuto anche una breve parentesi da allenatore, sono talmente gravi che riesce a malapena, e comunque non sempre, a ricordarsi i nomi dei propri figli. Tutto è iniziato nel 2020, quando a Thompson è stata diagnosticata la demenza e l’encefalopatia traumatica cronica. “Cosa ricordi del 2003?” gli chiede Vickery, “non ricordo nemmeno di essere stato in Australia“, ha raccontato Thompson, “tutto è sparito. La mia vita, tutto ciò che c’era intorno, semplicemente non c’è più”.
Trigger Warning: Suicide
At the age of 42, Steve Thompson was diagnosed with early-onset dementia and probable CTE.
As part of 𝐔𝐧𝐛𝐫𝐞𝐚𝐤𝐚𝐛𝐥𝐞: 𝐄𝐧𝐠𝐥𝐚𝐧𝐝 𝟐𝟎𝟎𝟑, Steve shares the impact of his diagnosis on his life and his recollection of the 2003 World Cup 💭… pic.twitter.com/mIUDvAw1uI
— Rugby on TNT Sports (@rugbyontnt) December 9, 2024
Vickery prova a rinfrescargli la memoria chiedendogli dei festeggiamenti sull’autobus scoperto e della gioia dell’intero Paese per quel trionfo, ma senza successo: “Non ricordo niente. La mia vita è capovolta. Mi sono perso, ho problemi di memoria e di rabbia. Ho attraversato una fase di enorme senso di colpa per i bambini e mia moglie. Poi sono stato vicino al suicidio“, ha rivelato con gli occhi lucidi Thompson, “ti senti come se fossi una persona più altruista se lo fai. Quando rivedo me stesso o gli altri ragazzi in campo, mi sento un impostore in un certo senso. Come se non fossi io quello lì. Come se non l’avessi fatto io. Se potessi tornare indietro, non giocherei di nuovo a rugby. Preferirei di gran lunga andare a lavorare in un cantiere, avere una vita normale. Quello era il nostro lavoro, ci è stato chiesto di farlo e lo abbiamo fatto al meglio delle nostre capacità. Questo non è in discussione, ed è per questo che probabilmente ce la siamo cavata così bene”.
Ma Thompson non è l’unico eroe del 2003 a vivere un momento drammatico. Anche Ben Cohen, ex ala della Nazionale inglese, ha raccontato di vivere pesanti problemi finanziari, che si sono aggravati durante la pandemia da Covid-19 e che lo hanno portato addirittura a vendere la sua medaglia conquistata nel Mondiale 2003. “Dovevo sopravvivere, non avevo niente con il Covid. Vincere una medaglia ai Mondiali è fantastico, ed è una grande eredità da lasciare ai propri figli e una storia, e possiamo parlarne, ma non ti dà da vivere”, ha detto a TalksSport, “la realtà è che non ho lavoro. Dov’è il mio lavoro? Dovevo ricambiare il favore alle persone che hanno provato ad aiutarmi. Come posso aiutare i miei amici? Almeno avevo qualcosa da vendere”.
“Non dobbiamo lasciare soltanto un’eredità nello sport, ma dare agli atleti un supporto concreto per diventare persone preparate alla vita quotidiana”, ha continuato Cohen, il tuo mutuo continua a esistere, la tua seconda ipoteca continua a esistere, poi verranno a prenderti la casa. Per me è stato orribile cercare di ripagarlo. Ho rischiato di perdere la casa, ho pagato una fortuna in più rispetto a quanto era la mia polizza iniziale. Ma non sono sicuramente l’unico a cui è successo”.