Giuseppe Gibilisco, primatista italiano dell’asta, oggi fa l’Assessore allo Sport a Siracusa, ma non dimentica il suo passato: “Accusato ingiustamente, ho vissuto l’inferno”
La seconda vita di Giuseppe Gibilisco è un rifiorire di sogni, passioni e desideri. Quelli che un amministratore locale deve necessariamente possedere se vuol consentire alla propria comunità di crescere. Per lo sport c’è posto, ma in una forma diversa: non più da allenatore con un passato da atleta, ma come Assessore del Comune di Siracusa, la città da dove è partito e dove si è convinto a tornare una volta che la pista non gli ha offerto più le risposte di cui andava in cerca.
I trionfi, le accuse, la solitudine e la paura
Giuseppe Gibilisco oggi è un politico che fa però dell’esperienza maturata in decenni di attività nell’atletica il suo credo. Oro mondiale a Parigi 2003, primatista italiano dell’asta sia all’aperto (5,90) che al chiuso (5,82), non ha una grande nostalgia dei tempi che furono. “Ho ricevuto tanto dall’atletica, ma ho anche sofferto parecchio, e non certo per causa mia”, ha raccontato in un’intervista alla Gazzetta dello Sport.
Chiaro il riferimento all’implicazione nell’inchiesta Oil for Drugs che nel 2007 lo vide condannato in primo grado a due anni di stop, pena poi ribaltata nell’appello e successivamente tramutata in assoluzione piena tanto per ciò che concerneva l’aspetto sportivo, quanto per quello giuridico e penale. “Una vicenda che mi ha segnato e che mi ha tagliato le gambe nel momento in cui ero all’apice. Avevo vinto l’oro mondiale nel 2003 e l’anno dopo il bronzo olimpico ad Atene, ma quell’accusa finì per rendermi la vita più simile a una prigione che non a qualcosa che meritava di essere vissuto.
Stavo malissimo, vedevo tutto nero: sentivo di essere innocente, come poi la storia ha dimostrato, ma non riuscivo a togliermi dalla testa il pensiero che le cose fossero destinate ad andare male. Tanto che arrivai anche a un passo dal suicidio”.
La tentazione del suicidio, la “seconda” possibilità
Gibilisco, all’epoca atleta delle Fiamme Gialle, ha raccontato il momento in cui ha pensato davvero di farla finita. “Avevo una pistola, quella di ordinanza, e mi sarei sparato se non fosse stato per un giornalista amico, l’unico che mi è stato davvero vicino in quel periodo nero. Una volta che le accuse sono cadute, ho trovato la forza per ricominciare anche a gareggiare: la finale raggiunta a Pechino 2008 è stato il momento in cui il cerchio s’è chiuso. Purtroppo però la mia carriera ad alto livello in una certa misura s’era già chiusa”.
L’avrebbe terminata ufficialmente nel 2014, per poi diventare allenatore per un periodo di Claudio Stecchi. “Adesso dedico il tempo che ho alla mia città, dove stiamo cercando di poter implementare nuove strutture in grado di consentire anche durante i mesi più freddi di potersi allenare al coperto. Siracusa è un luogo con una grande tradizione sportiva e mi piacerebbe creare una sorta di polo d’eccellenza del salto in asta, magari allo scopo di trovare anche un mio erede in un settore dove c’è bisogno di nuove leve”.
La sofferenza di Pantani: “So quello che ha passato”
Proprio quell’accusa di doping, poi smontata durante il processo, a detta di Gibilisco ha rappresentato un momento di non ritorno per lo sport italiano. “Allora non c’era rispetto per gli atleti, venivamo messi alla gogna senza alcun ritegno. Io stesso ricordo che passai dall’essere chiamato ad andare ovunque (eventi, serate, promozione pubblicitarie e tanto altro ancora) ad essere relegato nel dimenticatoio. È questo che mi portò a un passo dal suicidio, perché rimasi veramente solo. Anche adesso che ci ripenso e che mi riaffiorano alla mente cose che avevo rimosso mi viene da star male.
Di sicuro, quanto successo a me e in quegli anni anche a Marco Pantani è servito per cambiare la percezione delle cose, e soprattutto il modo di affrontare determinate situazioni. Marco ha pagato uno conto salatissimo, ma venne lasciato solo proprio come è successo a me. Spesso vado sulla sua tomba perché lo sento vicino. Io sono stato un sopravvissuto, un “miracolato” della vita, perché ho trovato la forza per rialzarmi, anche quando sul conto mi erano rimasti 43 euro, perché usai tutti i soldi per difendermi dalle accuse”.