L’Olimpiade della vita di Gianmarco Tamberi si è trasformata nel peggiore incubo. Anni di sacrifici vanificati dalle coliche: che fa adesso Gimbo? Sicuramente aveva immaginato un finale diverso
Gianmarco Tamberi, sei salti. Oppure, detta altrimenti: Gimbo, il crollo emotivo e la tempesta di lacrime in diretta mondiale. Qual è il futuro del campione olimpico di Tokyo? Smette adesso, così? O rilancia? Pensare a Los Angeles 2028 è francamente utopia ma un Mondiale da giocarsi potrebbe pure tentarlo per salutare tutti con altra faccia. Solo i social ufficiali di Gimbo rendono ancora gloria a Half Shave ma è da un po’ che non gli vediamo mezza barba si e mezza no.
Ultimamente ha optato per un viso tutto ripulito, tranne il girono della finale. Non ha fatto in tempo neppure a farsi la barba. E poi: si può lasciar correre via tanto affetto senza raccoglierne tutta l’energia? Se ci fosse un termometro per misurare la febbre degli italiani che sale per questo o quell’atleta olimpico, la temperatura fatta registrare per sostenere Gimbo avrebbe fatto strabordare il mercurio cromo. Dovesse mai continuare, sarà anche per questo. Dovesse mai continuare, avrebbe trovato risposta agli interrogativi del girono dopo: Gianmarco, ne è valsa la pena?
Un giorno di straordinaria follia
La spola tra ospedale e Instagram: la colica maledetta raccontata in tempo reale, testo e foto. Alcune sono di accompagnamento al messaggio – come quando annuncia di essere stato di nuovo male e ci mette a corredo lui con le mani sul volto – e altre eternizzano il presente. Gimbo su un lettino di ospedale e la flebo al braccio.
Quando fa ingresso allo Stade de France, Tamberi destabilizza: lo vedi saltare, prendersi l’ovazione, rispondere al calore con altrettanto calore. Il pensiero è che ai Giochi si possa scrivere la trama per cui i Giochi sono nati – la celebrazione dell’impresa, il ponte metaforico tra umano e divino -, invece no.
Un campione olimpico onora comunque i Giochi
Tamberi c’è perché un campione olimpico onora lo sport, sempre e comunque: non è competitivo, non è da podio, non sarà nemmeno da top ten. Sei salti: nessuno convincente, quello più interessante è stato il tentativo abbozzato nel riscaldamento, più di così non ne aveva.
Nemmeno la forza necessaria per tentarne uno solo fatto bene. Smunto, vuoto, il senso dell’asciutto che non richiama salute ma malattia. L’eccesso è sempre una stonatura ma non c’è solo che Gimbo è un professionista, ci sta pure il fatto che è circondato da professionisti. E allora?
Le domande ex post: ma perché?
Il giorno dopo si batte il chiodo su due tasti: perché una preparazione tanto estrema e scondita anche dal punto di vista alimentare (leggo che la dieta di Gimbo prevedesse un solo bicchiere d’acqua al giorno e un pieno di vitamine)?
Perché l’esposizione mediatica così martellante a poche ore dalla gara? Il peso delle cose, però, dipende anche da chi le fa: allora fatico a pensare perché a Gimbo bisognerebbe rivolgere questi interrogativi.
Il corto circuito social mediatico
Gimbo con il 3% di grasso corporeo e sangue che esce dalla bocca per un iperdosaggio terapeutico di farmaci – certificano che non è emorragia, i medici lo dimettono e non trovano impedimenti assoluti perché Tamberi non si presenti alla gara della sua vita.
La comunicazione arriva dalla Fidal ed è una delle poche volte in cui la Federazione pare avere almeno un quadro preventivo – più o meno chiaro – rispetto alle condizioni di Gimbo. Dev’esserci stato un corto circuito che andrà chiarito tra loro: le ricostruzioni raccontano di una sovraesposizione mediatica di Tamberi che per un girono intero ha conservato un filo diretto con gli utenti (e solo poi con i referenti federali?).
E se Gimbo ha scelto così è anche per una libertà di movimento che gli è concessa: figlia dello spessore dell’atleta ma anche di quello che, con ogni probabilità, è un commiato definitivo. Se non all’atletica, ai Giochi olimpici.
La gara della vita è una delle peggiori di Tamberi
Da 76 chili a 72: in tre anni la trasformazione fisica di Tamberi si è incentrata sull’affinamento e non sul potenziamento. Asciutto perché per saltare serve un fisico simile. Ma – anche tra addetti ai lavori – si acuiscono le perplessità: è parso un sacrificio eccessivo e forse mal valutato.
E se esiste una correlazione tra gli improvvisi problemi di salute di Gimbo e le scelte degli ultimi anni – il rapporto quasi ossessivo con l’alimentazione e quel corpo riscritto dalla dieta ferrea – il conto gli è arrivato, salatissimo, quando c’era da raccogliere.
Il misero 2,22 metri messo a referto come il salto migliore è la peggior gara della carriera: voleva quella della vita, è venuta così.
I meriti di Gimbo: quanto gli deve l’atletica
L’abbiamo pensato tutti: non la merita. Di più: Tamberi se lo dice da solo. “Non lo merito”. Aver vissuto un decennio in funzione di questi momenti, in progressione costante, mentre restituiva al salto in alto la dignità che si misura pure con la popolarità.
Ci sono sport verso cui restiamo colpevolmente ma inesorabilmente ignoranti. Il salto in alto, per dire: eco e risonanza solo perché esiste Gimbo. Ma di Stefano Sottile, 26 anni e splendido quarto a Parigi, chi aveva mai sentito parlare?
Sottile e le lacrime che hanno ferito
Butti giù due righe di mestiere – ex post: qualche ricerca, un salto nel passato, due domande ai professionisti dell’atletica che ne sanno – a cui non eri preparato. Sottile è allievo di Tamberi: ha visto Gimbo tifare per lui in un’Olimpiade che è andata al contrario.
Sarebbe stato il primo a rendere gloria a Tamberi se le cose avessero seguito una linearità. Invece è Gimbo che prova a dare il colpo di coda ai suoi Giochi aggrappandosi ai salti di Sottile che non va a medaglia, si prende il 26esimo legno della spedizione azzurra ma agli altri tre che lo hanno preceduto l’ha pure fatta un po’ sudare:
Sono dispiaciuto per lui, è sempre stato il mio riferimento e le sue lacrime mi hanno ferito.
Una mazzata devastante: altro che Rio
La mazzata è più devastante di Rio, non fosse altro per ragioni anagrafiche. Quella è stata un’Olimpiade mancata, questa un’edizione dei Giochi monca. Ma dopo Rio, Gianmarco aveva Tokyo. Ora no.
Adesso c’è la carta di identità e quelle che – col passare dei mesi diventeranno pure le ripercussioni di un corpo spinto al limite: il corso involutivo. 32 anni compiuti da un paio di mesi: da una parte la vita provata – nel senso del sacrificio – e dall’altro la vita privata – anche nel senso di una famiglia che ha avuto minore priorità. Il matrimonio prima dei Giochi pare essere l’ennesimo tassello a riprova di un disegno che era stato calcolato: chiudere tutto in bellezza, archiviare la prima parte della vita a Parigi e dare una struttura alla seconda.
Tamberi e il futuro: il bivio di Gimbo e la decisione più sofferta. Saltare al Mondiale o dire basta? In un caso o nell’altro: decidi sereno. Il tempo delle ossessioni è finito: quanto abbia pagato lo sa solo lui e solo lui può restituire alle decisioni prese una scala valoriale. A noi sta solo il rispetto di quella scelta: senso e motivo. E magari ecco, questo sì, evitare di mandare tutto in gossip da quattro spicci.